Dalla forca al forcone

Una guerra tra politica e giustizia che dura da quasi vent'anni

All’indomani del voto della Camera che ha consegnato alle patrie galere l’onorevole Papa, il Capo dello Stato ha rivolto un appello per far terminare il conflitto fra politica e magistratura. Un conflitto aperto e guerreggiato che risale al 1992. All’epoca si sventolava il cappio, ora si evocano i forconi. La corruzione che si denunciava allora, non è diminuita, al contrario. Anche i rischi sono aumentati perché, quali che possano essere i misfatti compiuti nella vita politica, l’idea di trovare una qualche rappresentanza democratica, fuori dal parlamento, nelle piazze, o peggio ancora nelle procure, è degna solo dei sostenitori di una svolta autoritaria.

Purtroppo la decisione della Camera dei deputati di votare il sì all’arresto dell’onorevole Papa fa il pari con quella altrettanto destabilizzante avvenuta nel 1993 di abolire parzialmente, ma significativamente, un caposaldo della carta costituzionale quale l’articolo 68, relativo all’immunità parlamentare. I deputati che concorsero a quella prima ed irrimediabile modifica della nostra Costituzione pensavano di aver salvato la faccia e lo scranno. Furono invece presto abbattuti dagli avvisi di garanzia. Abbiamo deputati che allora vennero messi sotto inchiesta per i reati più aberranti e che solo l’anno scorso hanno saputo di essere stati giudicati completamente innocenti. Da quell’esperienza non si è imparato niente. I deputati che pensavano, con il voto palese su Papa, di poter affrontare gli umori del paese - “l’ira civile”, come la chiama Flores D’Arcais, questo Marat de noantri - non si rendono conto di quello a cui vanno incontro. Saranno solo le prossime vittime di un processo teso a travolgere loro e la Repubblica. Se il Parlamento voleva dare un segnale di sensibilità per le condizioni difficili del paese lo poteva fare una settimana fa, abolendo le province, una struttura amministrativa che sia il Pdl sia il Pd ritengono inutile e costosa e che avevano promesso di sopprimere già nel loro stesso programma elettorale. Poi non lo hanno fatto.

Per cui se c’è chi pensa di salvarsi la coscienza lasciando andare in galera Alfonso Papa prima che venga condannato, sappia che non si salverà affatto. Da oggi è lecito arrestare chiunque prima del processo anche con i moventi più risibili. Quelli che richiedevano l’arresto di Papa lo erano. E non è vero che il Parlamento, che cede alla Camera con Papa, resista al Senato con Tedesco. La resistenza del Senato servirà solo a corroborare un prossimo assalto più letale. Bersani si illude di averla fatta franca. Nella funesta giornata che si è consumata in aula mercoledì scorso bisogna riconoscere che almeno il Pdl ha cercato di difendere le prerogative del Parlamento e quelle prerogative costituzionali che altri si sono messi sotto i piedi, come la presunzione di innocenza. Ma visto che l’esangue onorevole Franceschini, e non solo lui, ovviamente, ha timore dei forconi, vedrà presto in galera gli esponenti del suo partito. Il tintinnio di manette echeggia da settimane intorno al Pd e le accuse a Penati sono un richiamo irresistibile. Non sarà facile ricostruire l’autorità di un governo con le principali forze del paese sotto inchiesta. Bisogna che ci si rimetta all’integrità del Capo dello Stato. Altrimenti, tanto vale andare a chiedere ai procuratori di Napoli e Milano chi ritengano più idoneo a ricoprire la presidenza del Consiglio.